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16-09-2021

Lo psicologo va dallo psicologo

Ho un ricordo di me uscita dal colloquio di ammissione alla scuola di psicoterapia. Tanto entusiasmo per la nuova avventura all’orizzonte, tanti progetti e tante informazioni tra le quali una certezza: per completare la scuola non sarà necessario un percorso di terapia personale, fortemente consigliato ma non obbligatorio! Un sollievo in fondo, più che altro per il lato economico, considerati i costi della scuola che in quel momento avevo ben chiari in mente. E poi non ne ho bisogno...

Passano i mesi, inizia la pratica clinica vera e quel “fortemente consigliato” diventa presto una necessità. 

 


“Cioè sei una psicologa e vai a farti curare da un collega?”

Sì, me lo hanno detto davvero e al di là del lato prettamente pratico legato all’impossibilità di “curarsi da soli” (i medici di solito non si curano da soli. Ma pure gli avvocati si fanno difendere dai colleghi, eh) dal terapeuta non si va necessariamente per curare qualcosa.

 


Se non è obbligatorio e non hai un disturbo, allora, perchè ci vai?

Per alcuni indirizzi psicoterapici, in realtà, la terapia personale è una tappa obbligata della formazione. Con lo sguardo di oggi penso che dovrebbe esserlo per tutti. 

Per infinite ragioni.

In questo lavoro si tocca con mano ogni giorno la sofferenza degli altri, sofferenza che spesso non è possibile risolvere in brevissimo tempo e che quindi ci si trascina (il paziente, soprattutto, ma anche il terapeuta) per mesi. Non sempre è facile avere il giusto distacco da ciò che accade nella stanza della terapia, senza perdere empatia e capacità di aiutare davvero la persona. A volte il dolore dell’altro è talmente forte da rendere difficile chiudere la porta di quella stanza senza rolex replica portarsene un pezzettino in borsa, senza ripetersi mentalmente la seduta durante la cena, senza sognarsi quel dolore la notte. E a volte serve qualcuno che contenga e riformuli quel dolore, come il terapeuta ha contenuto e riformulato quello del paziente, senza esplodere.

Inoltre il terapeuta fa i conti ogni giorno con piccoli e grandi difficoltà della vita come chiunque (lutti, tradimenti, malattie, delusioni, problemi pratici). Ha indubbiamente qualche strumento in più per gestire il tutto, ma non è sempre possibile farcela da soli. Siamo bravissimi a predicare quando si tratta di farlo con i pazienti, mentre è più difficile seguire le nostre stesse indicazioni e dare il buon esempio.

Immagina questa scena: psicologo che scopre di dover rifare una serie di esami medici perchè qualcosa non va, contemporaneamente quel giorno gli si ferma la macchina (e piove, piove sempre quando accade) e una notifica sul cellulare gli ricorda che entro domani dovrà pagare la rata del mutuo ma non ha abbastanza fondi sul conto. Armato di tutte le buone intenzioni va in studio, dove una paziente gli racconta di essere disperata ed estremamente in ansia perchè i libri di scuola del figlio non sono ancora arrivati e siamo già al terzo giorno di lezione in prima elementare! Difficile lasciare tutto il resto da parte per concentrarsi solo su quello che per la sua paziente è un problema insormontabile, vero?

Ora immagina quest’altra scena: psicologo tradito dal partner pochi mesi prima, una ferita che brucia ancora. Inizia il primo colloquio con un nuovo paziente che è lì perchè dopo aver tradito innumerevoli volte la fidanzata, questa lo ha lasciato e lui vuole riconquistarla. Che si fa? No, mandarlo a quel paese non è tra le opzioni disponibili. Ma non perchè perderesti un paziente, bensì perchè il tuo ruolo non è quello: non è raccontargli che ha fatto bene o che ha sbagliato, oppure dirgli cosa fare per riconquistare la fidanzata, o ancora suggerirgli di mettersi l’anima in pace perchè questo non accadrà mai. Il terapeuta fermo sulla propria esperienza personale di persona tradita non potrà aiutare questa persona, perchè non è sufficientemente lucido e distaccato per mettere a fuoco chi ha di fronte, i suoi bisogni e le sue debolezze.

Il terapeuta del terapeuta, che a sua volta va da un altro terapeuta, svolge quella funzione di sguardo esterno, esattamente come il tuo terapeuta può essere per te. Aiuta a sciogliere i nodi personali, fare ordine, scoprire la sofferenza, far leva sulle risorse e comprendere la forza e i limiti delle proprie esperienze di vita. Lo scopo finale di uno psicologo che va da uno psicologo, oltre superare eventuali fragilità/disturbi personali, è riuscire ad avere il miglior equilibrio possibile per aiutare il paziente, senza pregiudizi e senza che la propria vita personale possa interferire in maniera significativa con il percorso di terapia.

Uno psicoterapeuta che va da un collega, vive in prima persona la dinamica terapeutica, si mette nei panni del ruolo di paziente che ricopre in quel momento, e riesce meglio a comprendere pensieri ed emozioni che si scatenano quando ci si siede di fronte ad un terapeuta. E poi vuoi mettere la serenità, per una volta, di sedersi dall’altra parte della scrivania e godersi lo spettacolo della terapia? Della propria terapia? Impagabile